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28
Mag

La “nuova” nullità virtuale del licenziamento

Con la recente ennesima pronuncia della Corte costituzionale, sentenza 23 gennaio – 22 febbraio 2024 n. 22 (in G.U. 1ª s.s. 28/02/2024 n. 9), continua l’opera di intaglio sul testo del d.vo n. 23/2015 (introduttivo del sistema delle c.d. tutele crescenti), che nel corso degli anni è stato profondamente e ripetutamente inciso, tanto da uscirne oggi sostanzialmente trasformato Il Giudice delle Leggi ha da ultimo dichiarato “l’illegittimità costituzionale dell’art. 2, comma 1, del decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 23, limitatamente alla parola «espressamente».

Per effetto di tale pronuncia, si legge in sentenza, “il regime del licenziamento nullo è lo stesso, sia che nella disposizione imperativa violata ricorra anche l’espressa (e testuale) sanzione della nullità, sia che ciò non sia espressamente previsto, pur rinvenendosi il carattere imperativo della prescrizione violata e comunque “salvo che la legge disponga diversamente”.

Con il testo originario, che assegnava la tutela reintegratoria “forte” dell’art. 2 solo ai “casi di nullità espressamente previsti dalla legge” si era posto con gran frequenza il problema di quale tutela assegnare al licenziamento nei casi in cui il licenziamento fosse riconducibile ad una nullità “solo” virtuale (ossia, ex art. 1418 c.c., per contrasto con una norma imperativa) e non testuale (ossia la nullità non fosse espressamente prevista dalla legge). Alcuni esempi rivelatisi problematici per la loro non collocabilità all’interno del sistema di tutele apprestato dal d.vo n. 23/2015 sono il licenziamento comminato per mancato superamento della prova, in presenza di patto di prova nullo e il licenziamento in violazione del periodo di comporto, il licenziamento privo di ogni motivazione (non riconducibile al mero vizio della motivazione). Ipotesi in cui non ricorre né un giustificato motivo e né una giusta causa, si tratta di licenziamenti ad nutum. la giurisprudenza di merito e di Cassazione ha variamente risposto (a volte riconducendo la fattispecie alla tutela solo indennitaria di cui all’art. 3 co. 1 quale “regola generale” nel sistema delle tutele crescenti). A ben vedere tali ipotesi sono riconducibili ad evidente nullità per violazione dell’art. 1 L. n. 604/1966, norma imperativa posta a tutela di interessi rilevanti ai sensi degli artt. 1, 4, 35, 36 Cost., art. 41 Cost., comma 2, per cui “il licenziamento del prestatore di lavoro non può avvenire che per giusta causa ai sensi dell’art. 2119 del Codice civile o per giustificato motivo”. Alla luce della modifica del testo, dell’art. 2, e del “nuovo” rilievo attribuibile alle nullità virtuali, ipotesi quali quelle richiamate, possono essere anch’esse ricondotte alla tutela reintegratoria “forte” di cui all’art. 2, che in definitiva è oggi parificato all’art. 18 co. 1 St. Lav., all’insegna della riaffermazione di un necessario e costituzionalmente irrinunciabile minimo comune denominatore tra “vecchie” e “nuove” tutele in tema di licenziamento.