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Il 25 maggio, al convegno presso la Fondazione Forense Bolognese promosso con l’associazione degli Avvocati Giuslavoristi Italiani – Sezione dell’Emilia-Romagna, l’avv. Bertuccini è intervenuto illustrando le principali novità del DL 48/2023 in attesa della sua conversione in legge
di Gianluca SIBANI
Alcune brevi riflessioni sulla peculiare tutela INAIL introdotta dall’art. 42, comma 2 del DL 18/2020 e su quanto previsto dalle istruzioni operative INAIL del 17.03.2020.
In estrema sintesi, il Legislatore ha previsto che qualora l’infezione da coronavirus venga contratta in occasione di lavoro, il medico certificatore deve considerarlo infortunio sul lavoro e trasmettere l’attestazione all’INAIL che assicura al malato la tutela assicurativa pubblica (con la conseguenza di garantire ogni tipo di indennizzo tra quelli previsti dal TU Infortuni). Le prestazioni a carico INAIL (in questo caso ritengo possa intendersi solo l’indennità giornaliera per inabilità temporanea assoluta di cui all’art. 68 del DPR 1124/1965) vengono riconosciute anche in caso di quarantena e di permanenza domiciliare fiduciaria, in quanto comportanti assenza dal lavoro. I relativi eventi infortunistici non potranno essere computati, infine, ai fini dell’andamento infortunistico e quindi del calcolo del premio.
Le istruzioni operative INAIL del 17.03.2020 prot. n. 3675 chiariscono che, in accordo con la giurisprudenza prevalente, il contagio, pur essendo nel sentire comune una malattia e quindi, a fini assicurativi, una tecnopatia, viene ricondotto alla causa violenta che é un elemento genetico dell’infortunio. In secondo luogo, é evidente che, anche se la norma di Legge non lo specifica, la stessa viene interpretata dall’Istituto come indirizzata precipuamente a medici, infermieri e personale sanitario che sia dipendente pubblico o privato e per cui il rischio da contagio covid-19 viene identificato come rischio ambientale specifico dell’attività lavorativa svolta o comunque come causa connessa alla stessa. Si afferma poi che per questa categoria di lavoratori il rischio di contagio si presume, anche ove non possa essere provato dal lavoratore, in considerazione delle mansioni svolte. La forza di tale presunzione, pare di intendere, va proporzionata al rischio epidemiologico del territorio in cui l’assicurato lavora.
In sintesi, la quarantena del medico ospedaliero lombardo che risulti positivo al c.d. “tampone” sarà trattata certamente come infortunio sul lavoro e non come malattia comune. Qualora residuino postumi permanenti o, nel caso peggiore, la morte, spetteranno quindi le prestazioni indennitarie dirette e ai superstiti. Di contro, precisano le disposizioni applicative INAIL, se il lo stesso medico viene posto in quarantena perché positivo risulta una dei suoi “contatti” extralavorativi (si parla di ragioni di sanità pubblica), egli non può assentarsi per infortunio, perché non c’é la prova (i.e. la presunzione, secondo quello che viene indicato prima nel testo) che abbia contratto l’infezione sul lavoro.
Sempre tenendo come faro medico-legale il dato epidemiologico, l’Istituto chiarisce che può essere indennizzata anche l’infezione contratta sul percorso casa-lavoro che deve essere trattata come infortunio in itinere. Infine, dalla configurabilità come infortunio del contagio discende l’obbligo di denuncia per il datore di lavoro con determinate semplificazioni volte a favorire l’infortunato.
Le finalità sono lodevoli: si tratta di garantire al personale sanitario, prima linea nella lotta al virus, la tutela assicurativa INAIL, che é di norma economicamente più vantaggiosa per il lavoratore, facendo rientrare il rischio pandemico tra i rischi specifici di tale attività nel particolare periodo storico che stiamo vivendo. Tuttavia, ritengo che la norma, per la sua formulazione non particolarmente felice, e le disposizioni applicative dell’INAIL potrebbero, in un futuro prossimo, creare problemi applicativi ed essere foriere di contenzioso assicurativo e risarcitorio.
E’ noto che, ai sensi del DPR 1124/1965 (che disciplina l’assicurazione INAIL), si può considerare infortunio sul lavoro quell’evento che si verifichi per causa violenta in occasione di lavoro. Fermo quest’ultimo elemento, si configura una malattia professionale, invece, se la causa è lenta, ossia se il contatto con l’agente nocivo è diluito nel tempo. Non interessa in questa sede soffermarsi sul concetto di causa violenta; basti sapere che, secondo la giurisprudenza, il contagio infettivo é ascrivibile, per la sua repentinità, a questa fattispecie.
E’ il concetto di occasione di lavoro, invece, che assume rilievo per questa analisi. La tutela assicurativa INAIL, infatti, opera se l’evento si verifica, oltre che sul posto di lavoro, nello svolgimento delle mansioni e dell’attività assegnata. Definisce specularmente l’occasione di lavoro il concetto di rischio: rischio generico (quello cui sono esposti tutti i soggetti e quindi la tutela assicurativa non opera) ovvero rischio specifico (in cui la tutela assicurativa opera, perché vi sono esposti solo determinati soggetti in ragione della loro attività lavorativa, delle macchine con cui sono a contatto o dell’ambiente lavorativo cui operano). Accanto a rischio specifico e rischio generico, la giurisprudenza ha delineato anche un terzo tipo di rischio: il rischio generico aggravato, ossia un rischio cui sono esposti tutti i soggetti, ma che risulta aggravato dall’attività lavorativa dell’assicurato e quindi meritevole di tutela INAIL. Il rischio generico aggravato è tipicamente rinvenibile nell’infortunio subito nel percorso casa-lavoro (c.d. infortunio in itinere): tutti soggiacciamo al rischio della circolazione stradale, ma se il sinistro si verifica sul normale percorso tra casa e lavoro diventa, pressoché automaticamente, meritevole di essere indennizzato dall’INAIL.
Date queste sintetiche premesse, è evidente che la norma in esame ove prevede che l’infezione da coronavirus debba essersi verificata in occasione di lavoro, delinea una fattispecie di rischio generico aggravato. Tutti, infatti, siamo esposti al rischio pandemico, ma alcune categorie di lavoratori sono più esposte di altri al contagio. Tra queste non solo gli operatori sanitari, ma anche gli operai delle manifatture di filiera e tutte le altre categorie che stanno assicurando i servizi essenziali nonostante la chiusura. Secondo quanto disposto dal decreto 18/2020, quindi, non solo il medico, ma anche la cassiera del supermercato che dovesse risultare positiva potranno assentarsi dal lavoro in infortunio se riusciranno a dimostrare di essersi infettati sul lavoro.
L’onere della prova, tuttavia, secondo le istruzioni operative INAIL in commento non pare essere il medesimo per le due categorie di lavoratori: per il primo, la disciplina applicativa dell’Istituto fissa, come detto, una presunzione di eziologia professionale la cui forza é direttamente proporzionale al dato epidemiologico territoriale; la seconda, viceversa, dovrà dimostrare integralmente, secondo gli ordinari criteri, che il contagio non è avvenuto al di fuori del posto di lavoro. Se questa prova è relativamente facile per chi ad esempio lavora in un’azienda in cui si sono individuati uno o più contagiati ed è stata chiusa per ragioni di sanità pubblica, diventa estremamente difficile per il personale che continua ad essere a contatto con il pubblico. A mio avviso, bisognerà dimostrare, infatti, che non erano stati forniti i necessari dispositivi di protezione individuale, che non venivano attuate le necessarie misure di distanziamento sociale o che non sono stati effettuati i necessari interventi di sanificazione. Avendo peraltro a delineare il perimetro dell’indagine solo il protocollo condiviso in materia di sicurezza sul lavoro del 14.03.2020 o le indicazioni dell’OMS.
Inoltre, la nota INAIL in commento attua quella che potrei definire (rubando un termine in uso in ambito di tecnopatie) una “tabellazione” del rischio da infortunio: il concetto di rischio ambientale, infatti, è tipico delle malattie professionali (si pensi ad esempio al rischio ambientale da esposizione ad amianto) e qui invece viene utilizzato per definire il rischio che vive attualmente il personale sanitario di alcune regioni ad alto tasso di contagi. Si trasforma quindi amministrativamente il rischio generico aggravato definito dal decreto legge in rischio specifico e questa interpretazione ritengo potrebbe non reggere alla prova dei Tribunali. Inoltre, andrà innegabilmente indagato anche il dato epidemiologico: in questo senso, a un medico lombardo potrebbe essere riconosciuto presuntivamente l’infortunio, mentre ad uno del Molise (ad oggi la regione italiana con il minor numero di contagi secondo i dati del Sole 24 Ore), potrebbe non essere riconosciuto.
E’ evidente, quindi, sotto il profilo squisitamente giuridico e con tutte le differenze del caso, la disparità di trattamento che emerge dalle istruzioni operative INAIL in favore di un’unica categoria di lavoratori (ai quali, ovviamente, va lo scontato ringraziamento in questo momento di grave emergenza sanitaria). Probabilmente l’INAIL, si ribadisce con intenti sicuramente meritori, si è spinto troppo in là, forzando la norma per consentire una più efficace tutela dei sanitari più esposti. E’ auspicabile, quindi, che al più presto vengano rilasciate istruzioni anche per il trattamento di tutti gli altri casi di infezioni da coronavirus.
Un’ultima considerazione. Anche per chi come me ha risicate nozioni scientifiche, acquisite più con l’esperienza e le letture di questi ultimi tempi di clausura forzata che con lo studio, appare un caso di scuola il contagio nel percorso casa-lavoro. Non si comprende quindi l’esigenza dell’Istituto di disciplinare amministrativamente anche questo aspetto. L’unica ipotesi che si può fare è che si sia pensato di tutelare il personale sanitario che utilizza i mezzi pubblici per recarsi al lavoro, ma anche qui, oltre agli scontati problemi di prova (chi ha contagiato chi e quando), non si comprende quale maggior tutela venga assicurata.
Ha avuto una certa eco mediatica locale il rigetto, da parte del Giudice del Lavoro di Modena (Decreto cron. 2719 del 25-07-2018) del ricorso ex art. 28 St. Lav. promosso dalla CGIL di categoria contro un’azienda del “distretto delle carni”, nel modenese (eco meno ampia di quella avuta all’inizio dell’anno dall’avvio della controversia, ma si era allora in periodo preelettorale).
Abbiamo difeso la CISL locale (tacciata di “sindacato di comodo” dall’o.s. ricorrente) con intervento autonomo nel procedimento: ci premeva non tanto respingere – chè appariva già da sè surreale – l’accusa di sindacato di comodo rivolto alla seconda organizzazione sindacale confederale del Paese, quanto stigmatizzare la concezione della democrazia sindacale che sembrava muovere i ricorrenti: la democrazia vale solo quando la maggioranza ce l’ho io…
All’interno dell’azienda, qualche anno fa, stanchi delle posizioni massimaliste, i lavoratori allo scadere triennale della RSU (all’epoca a componenti CGIL) votarono compatti (80% degli aventi diritto) per i candidati CISL.
Rammarica che rappresentanti della prima confederazione sindacale del Paese, che si è sempre erta a difensore della democrazia sindacale e che ha sottoscritto con le altre confederazioni un corposo accordo interconfederale (il cosiddetto “Testo Unico sulla rappresentanza” del gennaio 2014) per disciplinare minutamente le modalità di costituzione delle RSU e riconoscerle come unico attore negoziale a livello aziendale, qualifichi poi negli atti del procedimento e sulla stampa gli accordi sindacali stipulati dalla RSU regolarmente eletta come “accordi separati”, i firmatari come “sindacato di comodo” e i testi negoziali prodotti come “illegittimi”.
Sarà un gran giorno per le relazioni industriali nel nostro Paese quando tutti gli attori avranno acquisito che il consenso non è dato per grazia, consuetudine storica o zolla geopolitica, ma va ogni giorno conquistato con la leale azione a tutela dei propri rappresentati.
L’avv. Gianluca Sibani intervistato sulle questioni previdenziali di attualità, ospite della rubrica “Pensioni. L’esperto risponde” nel programma mattutino “AriaPulita” trasmesso dall’emittente televisiva emiliana 7Gold: la tormentata vicenda giudiziaria della normativa in materia di rivalutazione delle pensioni, le proposte di modifica della Legge Fornero, i quesiti degli ascoltatori. Andato in onda l’8-02-2017, è visibile QUI sul canale Youtube dell’emittente televisiva (durata 16’16”)
“Quali regole per quali lavori. Il riordino dei modelli di contratto di lavoro tra flessibilità e garanzia”. Negli ex Magazzini del Cotone sul Porto Antico, gli Avvocati Giuslavoristi Italiani analizzano le forme giuridiche che la collaborazione può assumere nel nostro Paese, esaminando le riforme in cantiere (“jobs act”).
Quasi 500 colleghi specialisti da tutta Italia, 28 ore di lavori, oltre 40 relatori ed esperti, diretta streaming e social, radiodiffusione: senza dubbio il più robusto sforzo di riflessione sul tema, per quantità e qualità, che sia mai stato prodotto. Grazie a tutti gli amici che hanno collaborato nel comitato organizzatore. Dettagli del programma e adesione sul sito dedicato.
Renzo Cristiani
L’AGI (Associazione Giuslavoristi Italiani) è ormai un pezzo ultradecennale della mia vita professionale ed, inevitabilmente personale. Diversi anni fa, alcuni avvocati lavoristi, a Milano e a Bologna, spinti dall’intuizione di fondo sul valore della specializzazione della professione forense (consultereste un odontoiatra per un problema cardiaco?), specializzazione che è stata finalmente riconosciuta dalla legge alla fine dell’anno scorso, decisero di costituirsi in associazione, per promuovere la formazione specialistica della categoria e battersi per il miglioramento della Giustizia del Lavoro nel ns. Paese. Sono stato tra i fondatori in Emilia Romagna, da alcuni anni Presidente a livello regionale. Nel marzo scorso, il Consiglio Esecutivo Nazionale ha ritenuto di chiamarmi a ricoprire la carica di Direttore generale dell’Associazione
Ogni tanto, tra colleghi ormai vecchi amici, ci chiediamo chi ce lo fa fare… sottrarre, da una professione già pervasiva, ulteriore tempo agli affetti famigliari e a sé stessi; ma l’istintivo desiderio di contribuire a migliorare le cose (o almeno a battersi perché non peggiorino) mi sono ormai convinto faccia parte della natura umana, come sanno i milioni di cittadini operanti nel volontariato nel nostro Paese.
Nonostante l’Associazione sia ormai adulta e autorevole, contando oltre 1500 avvocati specialisti in Diritto del Lavoro, sindacale e previdenziale in tutte le regioni del paese, promuovendo da diversi anni una severa Scuola biennale di Alta Formazione in Diritto del Lavoro per i giovani colleghi, organizzando centinaia di ore all’anno di convegni e seminari di aggiornamento, mantenendo una presenza sul web (www.giuslavoristi.it) frequentata e vivace, molta strada si può ancora percorrere nella direzione di supportare professionisti preparati, competenti, corretti, in grado di essere vera risorsa per i lavoratori e i datori di lavoro chiamati a confrontarsi con un assetto normativo in continua e tumultuosa evoluzione. Non toccherà a me giudicare se sarò stato all’altezza dell’incarico: posso solo confidare nell’aiuto degli altri colleghi e assicurare il mio impegno.
Renzo Cristiani
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