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22
Nov

novembre, piovono bonus!

L’esenzione fiscale e contributiva per i benefit e i rimborsi bollette sale a € 3.000,00.

Con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale telematica (nella notte di venerdì 18-11-2022 in tempo per la proroga del taglio delle accise, attuata con l’art. 2) è legge anche il Decreto “Aiuti quater” (DL 176/2022).

All’interno dell’art. 3 (“Misure di sostegno per fronteggiare il caro bollette” al decimo comma lett. b) viene ulteriormente alzata la soglia (già elevata a € 600 in agosto 2022 dall’ Aiuti bis, il DL 115/2022, con l’art. 12.1) entro la quale “limitatamente al periodo d’imposta 2022, in deroga a quanto previsto [dal TUIR], non concorrono a formare il reddito il valore dei beni ceduti e dei servizi prestati ai lavoratori dipendenti nonche’ le somme erogate o rimborsate ai medesimi dai datori di lavoro per il pagamento delle utenze domestiche del servizio idrico integrato, dell’energia elettrica e del gas naturale“.

Ricordiamo che lo scenario tradizionale vede l’esenzione (contributiva e fiscale) solo dei “beni di modico valore” (cioè per un ammontare che non superi € 258,23 / Lire 500.000 all’anno: e’ stato derogato dalla normativa COVID che ha raddoppiato il tetto per il 2020 e 2021.

Nel corso del 2022 sono state introdotte “a raffica” ulteriori agevolazioni; le misure di quest’anno non sono motivate dall’emergenza sanitaria, ma dalla spinta inflattiva dei prezzi dell’energia per il conflitto russo/ucraino : la scelta del ricorso ai “bonus” viene motivata con l’obiettivo di non alimentare la spirale inflazionistica di cui in passato venivano incolpati i sistemi di adeguamento automatico delle retribuzioni (come la cosiddetta “scala mobile”).

Vediamo di capire meglio.

  • In luglio è stata riconosciuto il bonus di € 200 (previsto dal DL 50/22) per dipendenti con redditi fino a € 35.000.
  • Con lo stipendio di novembre, con la stessa modalità (riconoscimento automatico senza bisogno di domanda, da parte del datore di lavoro che conguaglia con i versamenti in F24) ma con soglia reddituale più bassa (stipendio di € 1.538/mese lordi, cioè praticamente 20.000 annui) sarà riconosciuto il bonus di € 150 del Aiuti ter (DL 144/2022 art. 18)

La norma prevede:

  • che l’importo spetti in misura fissa, anche per i dipendenti a tempo parziale;
  • che spetti anche a chi è assente senza retribuzione ma con contribuzione figurativa (CIG, maternità etc)
  • che spetti UNA SOLA VOLTA a chi ha più rapporti di lavoro e NON SPETTI (da parte del datore di lavoro) a chi lo riceverà già dall’INPS (in quanto titolare di pensione o assegno)

Il lavoratore non deve presentare una domanda, DEVE però presentare una dichiarazione (art. 18.1) in cui attesta che NON E’ titolare di trattamenti INPS; inoltre (siccome la circolare INPS, 116/2022, responsabilizza pro quota i datori di lavoro se un lavoratore riceve indebitamente più volte il bonus) questi potranno richiedere una dichiarazione in cui il lavoratore attesti che non ha altri rapporti di lavoro (o comunque che non richiederà il trattamento agli altri datori, se presenti).

  • Il Decreto “Ucraina bis” in marzo (DL 21/2022 art. 2) ha istituito il cosiddetto “bonus benzina”, cioè l’esenzione dal reddito per i “buoni benzina o analoghi titoli ceduti dai datori di lavoro privati ai lavoratori dipendenti per l’acquisto di carburanti, nel limite di euro 200 per lavoratore

Abbiamo quindi 5 interventi:

  • due bonus per i redditi medio bassi (a luglio e a novembre) e
  • tre interventi sulla soglia di esenzione dei benefit (che era tornata al livello tradizionale dopo la cessazione delle elevazioni nel biennio pandemico), soglia che è stata elevata per l’anno 2022
    • prima a 600 e
    • ora a 3.000 euro,
    • cui si aggiunge l’esenzione di 200 € per i buoni benzina.

L’utilizzo della medesima espressione(“bonus”) può indurre a confusione:

  • da un lato (con i due bonus di luglio e novembre per i redditi medio bassi) abbiamo erogazioni “dovute”, automatiche, a carico dell’erario;
  • dall’altro, non si tratta di somme dovute, ma di una incentivazione per i datori di lavoro che vogliano effettuare queste erogazioni: far coincidere il costo azienda con il netto spendibile da parte del dipendente.

Diversamente dall’esenzione fino a € 200,00 che è destinata solo ai buoni benzina, l’esenzione fino a € 3000.00 non riguarda soltanto i benefit (come il il welfare aziendale, cioè il salario in natura, buoni acquisto etc.), ma anche veri e propri trasferimenti di denaro, purchè giustificati come rimborso dei costi delle utenze domestiche (caro-bollette) del lavoratore.

Per quanto riguarda le utenze, l’Agenzia delle Entrate ha chiarito (con la circolare 35/2002, finalmente emessa il 4 novembre con riferimento al DL 155/22), che il pagamento può riferirsi anche a utenze non intestate al dipendente, se abita stabilmente nell’alloggio.

Il datore di lavoro che intende riconoscere il rimborso ha diritto di richiedere la documentazione del costo (bolletta) nonchè una dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà  dal lavoratore che attesti che per quei costi non vi sono altre richieste di rimborso verso altri datori di lavoro (da parte dello stesso lavoratore, se ha più rapporti, o da parte di altri famigliari conviventi, verso i rispettivi datori di lavoro).

La cospicua elevazione della soglia (da 258,23 a 600 e poi a 3.000) non consente soltanto il riconoscimento di benefit aggiuntivi (buoni spesa “natalizi” etc) ma di ridurre i costi di benefit in ipotesi già riconosciuti, alzandone la soglia di esenzione (si pensi al controvalore dell’autovettura concessa al dipendente in uso promiscuo, o all’alloggio aziendale): occorre però prestare attenzione, secondo l’Amministrazione finanziaria (punto 2.2. della circolare) il superamento della soglia (dei 3.000 euro) comporta la decadenza dal beneficio per l’intero (e non solo per l’eccedenza).

28
Ott

Il periodo di prova nel Decreto Trasparenza

convegno di formazione congiunta tra AGI e Consulenti del Lavoro presso la Fondazione Forense Bolognese

Il DLgs 104/2022 (c.d. “Decreto Trasparenza”) è in vigore dallo scorso 13/08/2022.

Gli Avvocati Giuslavoristi dell’Emilia Romagna e i Consulenti del Lavoro di Bologna hanno promosso il 27 ottobre 2022 un convegno di formazione congiunto [locandina]; relatori:

Il collega Bertuccini si è occupato in particolare dell’art. 7, ove vengono dettati precetti che rivisitano la disciplina del patto di prova, ovvero il periodo destinato alla sperimentazione reciproca tra datore e lavoratore, durante il quale ciascuno dei due è libero di recedere senza giustificazione né preavviso.

Il decreto n. 104 ha anzitutto fissato il termine massimo di durata del periodo di prova in n. 6 mesi (salva l’inferiore durata eventualmente prevista dai CCNL). Si tratta di un limite che già era presente nel nostro ordinamento (art. 10 L. 604/66 e art. 4 RDL 1825/1924), ma solo per dirigenti e impiegati di prima fascia (mentre il limite era di n. 3 mesi per le figure diverse: Cass. 21874/2015 e Cass. 27535/2021). Oggi, il netto tenore della nuova norma ha parificato il limite nei sei mesi. Rimane invece possibile stabilire una durata della prova superiore rispetto a quella indicata nel CCNL applicato, laddove ciò corrisponda ad un interesse concreto del lavoratore o in caso di mansioni di particolare complessità (ad es. Cass.9789/2020; Cass. 8295/2000), purché entro il nuovo limite generale dei n. 6 mesi.

Si dispone, poi, che nel rapporto a termine il periodo di prova debba essere proporzionale alla durata del contratto e alle mansioni da svolgere in relazione alla natura dell’impiego. Si tratta della cristallizzazione di principi già acquisiti dalla giurisprudenza nostrana, e tuttavia la loro trasposizione in un netto precetto normativo lascia irrisolte (e anzi, le complica ulteriormente) le questioni su cui già si dibatteva: continua a mancare un criterio legale che guidi nello stabilire una congrua proporzionalità, criterio comunque inadeguato per i tempi determinati ‘brevissimi’.

Ancora, viene vietata la stipula di un secondo patto di prova per le medesime mansioni: anche questa norma riprende un principio pacifico, essendo ampiamente riconosciuta l’incompatibilità con la funzione sociale della prova, di una nuova sperimentazione in identiche mansioni. Tuttavia, la stessa giurisprudenza aveva riconosciuto la legittimità di un secondo periodo di prova per analoghe mansioni nei casi in cui ne emergesse in concreto l’effettiva esigenza, ad esempio, per l’ampio lasso di tempo trascorso dalla precedente esperienza (Cass. 8237/2015), ovvero al fine di sperimentare aspetti diversi della professionalità (Cass. 7984/2020; Cass. 28252/2018). Ora, il tono netto con cui la norma pone il divieto, occorrerà verificare se tale orientamento possa dirsi riconfermato.

L’intervento legislativo è dunque apparso eccessivamente brusco sul tema, addirittura frettoloso, aprendo in definitiva più interrogativi di quanti ne abbia chiariti, e saranno gli interpreti a dover armonizzare i nuovi precetti con il precedente tessuto normativo-lavoristico, tentando di non soccombervi.

06
Ott

l’avv. Bertuccini si unisce al nostro studio

Alessandro Bertuccini (classe ’76, avvocato dal 2009) si unisce al nostro studio.

Alessandro può vantare una ultradecennale esperienza professionale in ambito giuslavoristico.

Assieme al suo collaboratore, il collega Francesco Guzzo, darà un un significativo contributo alla ulteriore crescita dello Studio.

21
Apr

COVID e tutela INAIL: l’art. 42.2 DL 18/2020.

di Gianluca SIBANI

Alcune brevi riflessioni sulla peculiare tutela INAIL introdotta dall’art. 42, comma 2 del DL 18/2020 e su quanto previsto dalle istruzioni operative INAIL del 17.03.2020.

In estrema sintesi, il Legislatore ha previsto che qualora l’infezione da coronavirus venga contratta in occasione di lavoro, il medico certificatore deve considerarlo infortunio sul lavoro e trasmettere l’attestazione all’INAIL che assicura al malato la tutela assicurativa pubblica (con la conseguenza di garantire ogni tipo di indennizzo tra quelli previsti dal TU Infortuni). Le prestazioni a carico INAIL (in questo caso ritengo possa intendersi solo l’indennità giornaliera per inabilità temporanea assoluta di cui all’art. 68 del DPR 1124/1965) vengono riconosciute anche in caso di quarantena e di permanenza domiciliare fiduciaria, in quanto comportanti assenza dal lavoro. I relativi eventi infortunistici non potranno essere computati, infine, ai fini dell’andamento infortunistico e quindi del calcolo del premio.

Le istruzioni operative INAIL del 17.03.2020 prot. n. 3675 chiariscono che, in accordo con la giurisprudenza prevalente, il contagio, pur essendo nel sentire comune una malattia e quindi, a fini assicurativi, una tecnopatia, viene ricondotto alla causa violenta che é un elemento genetico dell’infortunio. In secondo luogo, é evidente che, anche se la norma di Legge non lo specifica, la stessa viene interpretata dall’Istituto come indirizzata precipuamente a medici, infermieri e personale sanitario che sia dipendente pubblico o privato e per cui il rischio da contagio covid-19 viene identificato come rischio ambientale specifico dell’attività lavorativa svolta o comunque come causa connessa alla stessa. Si afferma poi che per questa categoria di lavoratori il rischio di contagio si presume, anche ove non possa essere provato dal lavoratore, in considerazione delle mansioni svolte. La forza di tale presunzione, pare di intendere, va proporzionata al rischio epidemiologico del territorio in cui l’assicurato lavora.

In sintesi, la quarantena del medico ospedaliero lombardo che risulti positivo al c.d. “tampone” sarà trattata certamente come infortunio sul lavoro e non come malattia comune. Qualora residuino postumi permanenti o, nel caso peggiore, la morte, spetteranno quindi le prestazioni indennitarie dirette e ai superstiti. Di contro, precisano le disposizioni applicative INAIL, se il lo stesso medico viene posto in quarantena perché positivo risulta una dei suoi “contatti” extralavorativi (si parla di ragioni di sanità pubblica), egli non può assentarsi per infortunio, perché non c’é la prova (i.e. la presunzione, secondo quello che viene indicato prima nel testo) che abbia contratto l’infezione sul lavoro.

Sempre tenendo come faro medico-legale il dato epidemiologico, l’Istituto chiarisce che può essere indennizzata anche l’infezione contratta sul percorso casa-lavoro che deve essere trattata come infortunio in itinere. Infine, dalla configurabilità come infortunio del contagio discende l’obbligo di denuncia per il datore di lavoro con determinate semplificazioni volte a favorire l’infortunato.

Le finalità sono lodevoli: si tratta di garantire al personale sanitario, prima linea nella lotta al virus, la tutela assicurativa INAIL, che é di norma economicamente più vantaggiosa per il lavoratore, facendo rientrare il rischio pandemico tra i rischi specifici di tale attività nel particolare periodo storico che stiamo vivendo. Tuttavia, ritengo che la norma, per la sua formulazione non particolarmente felice, e le disposizioni applicative dell’INAIL potrebbero, in un futuro prossimo, creare problemi applicativi ed essere foriere di contenzioso assicurativo e risarcitorio.

E’ noto che, ai sensi del DPR 1124/1965 (che disciplina l’assicurazione INAIL), si può considerare infortunio sul lavoro quell’evento che si verifichi per causa violenta in occasione di lavoro. Fermo quest’ultimo elemento, si configura una malattia professionale, invece, se la causa è lenta, ossia se il contatto con l’agente nocivo è diluito nel tempo. Non interessa in questa sede soffermarsi sul concetto di causa violenta; basti sapere che, secondo la giurisprudenza, il contagio infettivo é ascrivibile, per la sua repentinità, a questa fattispecie.

E’ il concetto di occasione di lavoro, invece, che assume rilievo per questa analisi. La tutela assicurativa INAIL, infatti, opera se l’evento si verifica, oltre che sul posto di lavoro, nello svolgimento delle mansioni e dell’attività assegnata. Definisce specularmente l’occasione di lavoro il concetto di rischio: rischio generico (quello cui sono esposti tutti i soggetti e quindi la tutela assicurativa non opera) ovvero rischio specifico (in cui la tutela assicurativa opera, perché vi sono esposti solo determinati soggetti in ragione della loro attività lavorativa, delle macchine con cui sono a contatto o dell’ambiente lavorativo cui operano). Accanto a rischio specifico e rischio generico, la giurisprudenza ha delineato anche un terzo tipo di rischio: il rischio generico aggravato, ossia un rischio cui sono esposti tutti i soggetti, ma che risulta aggravato dall’attività lavorativa dell’assicurato e quindi meritevole di tutela INAIL. Il rischio generico aggravato è tipicamente rinvenibile nell’infortunio subito nel percorso casa-lavoro (c.d. infortunio in itinere): tutti soggiacciamo al rischio della circolazione stradale, ma se il sinistro si verifica sul normale percorso tra casa e lavoro diventa, pressoché automaticamente, meritevole di essere indennizzato dall’INAIL.

Date queste sintetiche premesse, è evidente che la norma in esame ove prevede che l’infezione da coronavirus debba essersi verificata in occasione di lavoro, delinea una fattispecie di rischio generico aggravato. Tutti, infatti, siamo esposti al rischio pandemico, ma alcune categorie di lavoratori sono più esposte di altri al contagio. Tra queste non solo gli operatori sanitari, ma anche gli operai delle manifatture di filiera e tutte le altre categorie che stanno assicurando i servizi essenziali nonostante la chiusura. Secondo quanto disposto dal decreto 18/2020, quindi, non solo il medico, ma anche la cassiera del supermercato che dovesse risultare positiva potranno assentarsi dal lavoro in infortunio se riusciranno a dimostrare di essersi infettati sul lavoro.

L’onere della prova, tuttavia, secondo le istruzioni operative INAIL in commento non pare essere il medesimo per le due categorie di lavoratori: per il primo, la disciplina applicativa dell’Istituto fissa, come detto, una presunzione di eziologia professionale la cui forza é direttamente proporzionale al dato epidemiologico territoriale; la seconda, viceversa, dovrà dimostrare integralmente, secondo gli ordinari criteri, che il contagio non è avvenuto al di fuori del posto di lavoro. Se questa prova è relativamente facile per chi ad esempio lavora in un’azienda in cui si sono individuati uno o più contagiati ed è stata chiusa per ragioni di sanità pubblica, diventa estremamente difficile per il personale che continua ad essere a contatto con il pubblico. A mio avviso, bisognerà dimostrare, infatti, che non erano stati forniti i necessari dispositivi di protezione individuale, che non venivano attuate le necessarie misure di distanziamento sociale o che non sono stati effettuati i necessari interventi di sanificazione. Avendo peraltro a delineare il perimetro dell’indagine solo il protocollo condiviso in materia di sicurezza sul lavoro del 14.03.2020 o le indicazioni dell’OMS.

Inoltre, la nota INAIL in commento attua quella che potrei definire (rubando un termine in uso in ambito di tecnopatie) una “tabellazione” del rischio da infortunio: il concetto di rischio ambientale, infatti, è tipico delle malattie professionali (si pensi ad esempio al rischio ambientale da esposizione ad amianto) e qui invece viene utilizzato per definire il rischio che vive attualmente il personale sanitario di alcune regioni ad alto tasso di contagi. Si trasforma quindi amministrativamente il rischio generico aggravato definito dal decreto legge in rischio specifico e questa interpretazione ritengo potrebbe non reggere alla prova dei Tribunali. Inoltre, andrà innegabilmente indagato anche il dato epidemiologico: in questo senso, a un medico lombardo potrebbe essere riconosciuto presuntivamente l’infortunio, mentre ad uno del Molise (ad oggi la regione italiana con il minor numero di contagi secondo i dati del Sole 24 Ore), potrebbe non essere riconosciuto.

E’ evidente, quindi, sotto il profilo squisitamente giuridico e con tutte le differenze del caso, la disparità di trattamento che emerge dalle istruzioni operative INAIL in favore di un’unica categoria di lavoratori (ai quali, ovviamente, va lo scontato ringraziamento in questo momento di grave emergenza sanitaria). Probabilmente l’INAIL, si ribadisce con intenti sicuramente meritori, si è spinto troppo in là, forzando la norma per consentire una più efficace tutela dei sanitari più esposti. E’ auspicabile, quindi, che al più presto vengano rilasciate istruzioni anche per il trattamento di tutti gli altri casi di infezioni da coronavirus.

Un’ultima considerazione. Anche per chi come me ha risicate nozioni scientifiche, acquisite più con l’esperienza e le letture di questi ultimi tempi di clausura forzata che con lo studio, appare un caso di scuola il contagio nel percorso casa-lavoro. Non si comprende quindi l’esigenza dell’Istituto di disciplinare amministrativamente anche questo aspetto. L’unica ipotesi che si può fare è che si sia pensato di tutelare il personale sanitario che utilizza i mezzi pubblici per recarsi al lavoro, ma anche qui, oltre agli scontati problemi di prova (chi ha contagiato chi e quando), non si comprende quale maggior tutela venga assicurata.

28
Lug

In difesa della democrazia sindacale: la vertenza Castelfrigo

 

 

Ha avuto una certa eco mediatica locale il rigetto, da parte del Giudice del Lavoro di Modena (Decreto cron. 2719 del 25-07-2018)  del ricorso ex art. 28 St. Lav. promosso dalla CGIL di categoria contro un’azienda del “distretto delle carni”, nel modenese (eco meno ampia di quella avuta all’inizio dell’anno dall’avvio della controversia, ma si era allora in periodo preelettorale).

Abbiamo difeso la CISL locale (tacciata di “sindacato di comodo” dall’o.s. ricorrente) con intervento autonomo nel procedimento: ci premeva non tanto respingere – chè appariva già da sè surreale – l’accusa di sindacato di comodo rivolto alla seconda organizzazione sindacale confederale del Paese, quanto stigmatizzare la  concezione della democrazia sindacale che sembrava muovere i ricorrenti: la democrazia vale solo quando la maggioranza ce l’ho io…

All’interno dell’azienda, qualche anno fa, stanchi delle posizioni massimaliste, i lavoratori allo scadere triennale della RSU (all’epoca a componenti CGIL) votarono compatti (80% degli aventi diritto) per i candidati CISL.

Rammarica che rappresentanti della prima confederazione sindacale del Paese, che si è sempre erta a difensore della democrazia sindacale e che ha sottoscritto con le altre confederazioni  un corposo accordo interconfederale (il cosiddetto “Testo Unico sulla rappresentanza” del gennaio 2014) per disciplinare minutamente le modalità di costituzione delle RSU e riconoscerle come unico attore negoziale a livello aziendale, qualifichi poi negli atti del procedimento e sulla stampa gli accordi sindacali stipulati dalla RSU regolarmente eletta come “accordi separati”, i firmatari come “sindacato di comodo” e i testi negoziali prodotti come “illegittimi”.

Sarà un gran giorno per le relazioni industriali nel nostro Paese quando tutti gli attori avranno acquisito che il consenso non è dato per grazia,  consuetudine storica o zolla geopolitica, ma va ogni giorno conquistato con la leale azione a tutela dei propri rappresentati.

08
Feb

Gianluca Sibani su 7Gold interviene a “AriaPulita – Pensioni. L’esperto risponde.”

L’avv. Gianluca Sibani intervistato sulle questioni previdenziali di attualità, ospite della rubrica “Pensioni. L’esperto risponde” nel programma mattutino “AriaPulita” trasmesso dall’emittente televisiva emiliana 7Gold: la tormentata vicenda giudiziaria della normativa  in materia di rivalutazione delle pensioni, le proposte di modifica della Legge Fornero, i quesiti degli ascoltatori. Andato in onda l’8-02-2017, è visibile QUI sul canale Youtube dell’emittente televisiva (durata 16’16”)

27
Gen

Procedimento disciplinare: malattia e audizione difensiva, un rapporto tormentato.

Nel procedimento disciplinare il lavoratore ha diritto, se lo richiede tempestivamente, all’audizione difensiva, che deve essere rinviata se il lavoratore in quel momento, per ragioni di salute, si trova nella impossibilità di parteciparvi. E’ onere del lavoratore documentare questa condizione con apposita  certificazione, non essendo sufficiente, per la diversità dei presupposti, l’ordinaria certificazione di malattia

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05
Mar

Dimissioni telematiche incombono

telepatiche

 

Da sabato 12 marzo 2016, salvo proroghe dell’ultim’ora, scatta l’obbligo della forma telematica, a pena di inefficacia, per le dimissioni e le risoluzioni consensuali (ex art. 26 DLgs 151/2015, essendo decorsi i 60 gg dall’entrata in vigore del DM attuativo MinLavoro 15-12-2015), forma che supera la convalida introdotta dalla L. 92/2012 e richiama la breve stagione della L. 188/2007. L’obiettivo dichiarato dalla delega (L. 183/2014, art. art. 1 comma 6 lett. g) : ”garantire data certa nonche’ l’autenticita’ della manifestazione di volonta’ della lavoratrice o del lavoratore in relazione alle dimissioni o alla risoluzione consensuale”) è sempre quello di combattere la piaga delle dimissioni in bianco (pare che l’ingegno nazionale avesse escogitato, per eludere le formalità di convalida della L. 92, la firma di foglio bianco all’altezza giusta per sovrastamparvi il modulo di ricevuta della comunicazione telematica…).
La norma  ha portata universale, escludendo unicamente il lavoro domestico (nonchè, secondo la Circolare MLPS 4 marzo 2016 n.12), il lavoro marittimo, il pubblico impiego e i recessi in costanza di prova) facendo salva soltanto la preesistente procedura ispettiva per la convalida da parte dei genitori ed affligge di radicale inefficacia la volontà dismissiva del lavoratore manifestata anche ritualmente in altre forme, delle quali non prevede alcun meccanismo di sanatoria o convalida ex post: introduce anzi uno jus poenitendi, esercitabile (con le medesime forme telematiche) nei sette giorni successivi.
E’ fatta salva l’efficacia solo delle volontà manifestate nelle sedi protette.
E’ ragionevole prevedere forti difficoltà di carattere pratico alla sua immediata ed universale recezione, a superare le quali non è di aiuto la persistente farraginosità della procedura per l’acquisizione delle credenziali per chi volesse procedere personalmente (incompatibile con una immediata manifestazione di volontà dismissiva, prevedendo addirittura una fase “postale”), o l’elencazione tassativa degli intermediari abilitati (soggetti che presenteranno comprensibilmente limiti all’immediata ed universale accessibilità).

Inoltre, all di là degli aspetti pratici, il sistema appare lacunoso anche sul piano formale: dal lato del lavoratore, va evidenziato che il “modulo” (rectius schermata, essendo smaterializzato) previsto dal DM è del tutto scarno, limitandosi alle generalità delle parti e all’indicazione della data di voluta cessazione del rapporto; manca quindi qualsiasi possibilità (non è nemmeno presente un campo per annotazioni a testo libero) di invocazione dell’eventuale giusta causa di recesso: con serie incertezze sulla portata dell’atto, sia sul piano civilistico (in ordine all’assetto degli obblighi di preavviso) che assistenziale (verifica della conformità della giusta causa invocata alle fattispecie che consentono l’accesso alla NASPI); non è chiaro nemmeno come possano regolarsi le parti (tranne ricorrere alla revoca e riemissione sic et simpliciter, che però stando all’art. 26 secondo comma cit. appare consentita soltanto “entro sette giorni dalla data di trasmissione del modulo”) nel caso non infrequente che eventi non previsti (quali l’insorgere di patologia durante il preavviso, o il verificarsi di una giusta causa di immediato recesso durante il corso dello stesso, o diversi accordi tra le parti per una riduzione o protrazione della sua durata) impongano la modifica della data indicata nella trasmissione originaria come cessazione del rapporto. Dal lato dei datori di lavoro poi, è prevedibile paventare una larga mole di dimissioni con le modalità previgenti, che, in quanto radicalmente inefficaci ed insuscettibili di convalida (qui il legislatore delegato, più che di eccesso di delega, sembra aver peccato di … difetto, laddove la 183 cit prevedeva anche di tenere “conto della necessita’ di assicurare la certezza della cessazione del rapporto nel caso di comportamento concludente in tal senso della lavoratrice o del lavoratore”) esporranno il datore di lavoro all’alternativa tra tenere quiescente un rapporto di lavoro nella non breve attesa che si formi il comportamento concludente, o avviarsi ad un procedimento disciplinare espulsivo, sobbarcandosene le insidie procedurali ed i costi (tra cui il maxicontributo NASPI).

Appare anche illogicamente riduttivo aver escluso i legali (e tanto più gli specialisti) dal novero degli intermediari abilitati. Tale esclusione, unita alla rigidità della struttura della comunicazione come prevista, precluderà modalità di assistenza professionale che fino ad oggi erano prassi efficace, quali il formare la comunicazione di dimissioni per giusta causa da parte del legale con adesione del lavoratore, il che consentiva un immediato intervento del difensore, il dettaglio delle ragioni del recesso e magari la contestuale formulazione di altre connesse rivendicazioni.

Confidiamo che il percorso attuativo consenta di rimuovere quanto prima, anche cogliendo gli spazi di prossimo completamento della delega, le criticità evidenziate.
15
Set

Genova 18/20 settembre 2014: il convegno nazionale AGI

slide1“Quali regole per quali lavori. Il riordino dei modelli di contratto di lavoro tra flessibilità e garanzia”. Negli ex Magazzini del Cotone sul Porto Antico, gli Avvocati Giuslavoristi Italiani analizzano le forme giuridiche che la collaborazione può assumere nel nostro Paese, esaminando le riforme in cantiere (“jobs act”).
Quasi 500 colleghi specialisti da tutta Italia, 28 ore di lavori, oltre 40 relatori ed esperti, diretta streaming e social, radiodiffusione: senza dubbio il più robusto sforzo di riflessione sul tema, per quantità e qualità, che sia mai stato prodotto. Grazie a tutti gli amici che hanno collaborato nel comitato organizzatore. Dettagli del programma e adesione sul sito dedicato.

Renzo Cristiani